Esclusiva | Tintín Márquez: "Così ho portato il Qatar al titolo di campione d'Asia in due mesi"

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Esclusiva | Tintín Márquez: "Così ho portato il Qatar al titolo di campione d'Asia in due mesi"
Il trionfo di Marquez in Coppa d'Asia
Il trionfo di Marquez in Coppa d'AsiaProfimedia/IMAGO
Il commissario tecnico dell'ultima vincitrice della Coppa d'Asia si è confidato con Diretta a due mesi dal trionfo in finale contro la Giordania.

Il trionfo in Qatar, il calcio e la vita in Medio Oriente. E, naturalmente, la possibilità di tornare ad allenare in Europa. Dopo aver conquistato la Coppa d'Asia, Tintín Márquez - che a Doha chiamano 'Mister López' - guarda al futuro, ma senza dimenticare il passato.

"Subito dopo la vittoria mi hanno scritto tutti. Tutte le persone che mi conoscono e che sanno che sono stato lontano da casa per quasi 13 anni durante i quali ho avuto delusioni e gioie. Nessuna gioia, però, è comparabile con quella di aver vinto la Coppa d'Asia".

Cominciamo dal suo passato: che tipo di calcaitore era Tintín Márquez? 

"Ero un giocatore di qualità, ma con poca corsa". 

Le sarebbe piaciuto allenarne uno come lei? 

"Sì, perché segnavo tanti gol. Ero un centrocampista offensivo che lavorava poco in difesa (ride, ndr)".

E, del resto, come diceva Charlie Rexach, correre è da codardi, giusto? 

"Sì, giusto (ride, ndr)". 

Ha avuto le sue prime esperienze da allenatore a Barcellona, ​​ma poi è dovuto andare a cercare fortuna all'estero. 

"Ebbene sì, ho trascorso tutta la mia carriera da calciatore a Barcellona e poi ho iniziato ad allenare una squadra di terza divisione, l'Europa, con la quale abbiamo avuto la fortuna di vincere la Copa Catalunya contro il Barça. Solo poi sono tornato all'Espanyol perché non avevo il titolo di allenatore e ho pensato che sarebbe stato bello prenderlo lavorando lì. Ho iniziato nel calcio giovanile arrivando fino alla prima squadra, ma lì non è andata bene. Mi hanno licenziato e sono dovuto andare via. Andai a Castellón. Una pessima esperienza, davvero". 

Tintin Marquez durante la Coppa d'Asia
Tintin Marquez durante la Coppa d'AsiaProfimedia

E poi il Qatar.

"In Qatar, per la prima volta, ci sono andato nel 2011, ma dopo aver comprato una squadra professionistica in Belgio mi hanno mandato lì con un progetto chiamato Football Dreams, che prevedeva il reclutamento di giocatori in Africa, direttamente nei loro paesi. Lì ho trascorso quattro anni". 

Fino alla telefonta dall'Iraq. 

"Mi hanno chiamato per aiutare il loro ct a preparare le Olimpiadi del 2016. Abbiamo fatto tre mesi di preparazione e siamo andati a Rio, ma sono rimasto con loro solo per quel periodo. E poi, dopo il Sint Truidense ancora in Belgio, sono tornato in Qatar.

Perché di nuovo in Qatar?

"Perché mi hanno chiamato da una squadra importante (l'Al-Wakrah, ndr) che stava attraversando un periodo molto brutto in Seconda Divisione e potevo dargli una mano. Ebbene, abbiamo avuto la fortuna di ottenere la promozione. Sono lì da sei anni e siamo riusciti a qualificarci negli ultimi tre in Champions League. Abbiamo fatto un buon lavoro lì".

Così buono che l'hanno chiamata a dirigere la nazionale quando Queiroz è andato via. Il 6 dicembre l'hanno nominata ct, la vigilia di Natale ha diretto il suo primo allenamento e il 10 febbraio ha vinto la Coppa d'Asia. Quando ha capito che poteva davvero vincerla? 

"Beh, se devo essere sincero, in nessun momento perché è molto difficile vincere con il Qatar. Quello che è riuscito a fare Félix (Sánchez, ndr) è stata una cosa incredibile. Imporsi con il Qatar contro nazionali come Giappone, Corea, Australia, Iran, insomma, squadre fortissime, era quasi impensabile. Abbiamo giocato partita a partita, con entusiasmo, superando turno dopo turno. Forse, quando siamo passati contro l'Iran in semifinale abbiamo cominciato a pensare che avremmo potuto battere la Giordania perché prima dell'inizio del torneo avevamo giocato un'amichevole contro di loro e mi erano sembrati una buona squadra, ma che si poteva battere. Sì, in quel momento qualcuno ha cominciato a pensare che avremmo potuto vincere".

Prima Pep Guardiola, poi Xavi Hernández e Félix Sánchez e ora Tintin Márquez. Perché in Qatar hanno questa predilezione per il calcio catalano? 

"Abbiamo un buon feeling con i qatarioti perché il carattere spagnolo si adatta abbastanza bene al loro. E poi, gli piace la nostra filosofia di gioco: provare a mantenere il controllo della palla ed essere offensivi. Beh, non tutti gli allenatori spagnoli sono uguali. Ma l'idea che si è diffusa dopo il Mondiale vinto nel 2010 e gli Europei del 2008 e 2012 è stata quella che in Spagna si gioca un calcio offensivo". 

Tutte queste esperienze in giro per il mondo in che tipo di allenatore l'hanno fatta diventare? Chi è oggi Tintin Márquez? 

"La verità è che ho ancora la stessa idea di calcio che avevo a Barcellona. Ho sicuramente un po' più di esperienza e, quindi, affronto alcune situazioni con più calma, ma continuo a sviluppare la stessa idea che ho portato ovunque abbia allenato. In alcuni posti è andata bene, in altri non molto bene o proprio male. In quest'ultima avventura in Qatar dire, invece, che è andata in maniera fantastica". 

A che punto è il calcio in Medio Oriente? 

"Il Qatar ha fatto un passo in avanti incredibile. Negli ultimi anni i giocatori sono molto più professionali in termini di responsabilità, orari, frequenza agli allenamenti e comprensione del gioco. Sono migliorati molto, moltissimo. Certo che se facciamo il paragone con l'Europa, non dico con le grandi squadre, ma anche con quelle moderatamente buone, si è ancora un po' lontani. Detto questo, il Qatar in questo momento occupa la migliore posizione della sua storia, è al 34esimo posto nella  classifica Fifa e questo vuol dire che è già ad un livello alto perché i giocatori sono migliorati tantissimo".

Le piacerebbe tornare in Europa ad allenare una squadra di alto livello? 

"No, no, no. Dopo il Qatar torno a casa. La mia intenzione è che quando avrò finito il mio lavoro in Qatar dirò basta". 

Dopo i Mondiali in Qatar, gli ultimi Mondiali in Qatar, nel 2034 i Mondiali tornano nella Penisola Arabica, in Arabia. Quanto è lontano il calcio in tutto il Medio Oriente?

"Beh, qui sono pazzi per il calcio. Sanno tutto del campionato spagnolo, inglese... Guardano molto calcio, molto calcio. A loro piace molto il calcio, a loro piace molto lo sport. Il Qatar investe molto nello sport, ma non solo nel calcio. Investi in... Promuove per tutto. Per il nuoto, per il basket, l'atletica, la pallamano, tutti gli sport che ci sono. E poi investe molto nelle strutture. Ha strutture impressionanti. Impressionante in tutto, per il calcio di base, per chi inizia a gareggiare nell'Aspire. Una cosa è... La verità è che investono molto nello sport. A loro piace molto lo sport, soprattutto l'emiro, il fratello. A loro piace molto lo sport e investono molto nello sport, molto". 

Se un giovane calciatore europeo, diciamo un Gabri Veiga o un campione già affermato, la chiamasse per chiederle un consiglio se venire o meno nella Saudi Pro League o in un campionato comunque mediorientale, cosa diresti?

"Bene, sta arrivando proprio adesso. Ad esempio, abbiamo molti giovani, come ha detto Gabri Veiga. Bene, noi, ad esempio, abbiamo realizzato un progetto in Qatar dove stanno reclutando giocatori di 17, 18 anni. Dalla Spagna viene, per fare un esempio, Simo, un ragazzo che aveva un progetto per la prima squadra spagnola. Ebbene il consiglio è che il calcio è calcio ovunque, che si gareggia, ci si allena bene, è calcio professionistico e forse il vantaggio è che magari guadagni di più qui che in Europa."

Ai Mondiali in Qatar ci sono state molte critiche per questioni relative ai diritti umani, alla condizione dei lavoratori e tutto questo. Ritieni che siano giustificate o ritieni che in Europa la realtà non sia ancora ben conosciuta?

Sono ingiustificati al 100%. Io dico sempre la stessa cosa, chi dice queste cose dovrebbe prendere un aereo della Qatar Airways, venire in Qatar, restare 15 giorni e poi ripetere ancora la sua opinione, vedere cosa ne pensa. Sono pregiudizi che nascono dall’ignoranza totale".