Jakub Jankto e quella difficoltà a reputare normale il suo atto di coraggio

Pubblicità
Pubblicità
Pubblicità
Di più

Jakub Jankto e quella difficoltà a reputare normale il suo atto di coraggio

Jakub Jankto
Jakub JanktoAFP
Il coming out del calciatore dello Sparta Praga ricorda quelli di altri campioni dello sport che, prima di lui, hanno avuto il coraggio di rivolgersi a una società che, sfortunatamente, non era e non è ancora pronta a vivere l'omosessualità con normalità.

Grazie Jakub. Grazie per averci messo di nuovo di fronte alla realtà. Una realtà molto spesso messa frettolosamente sotto il tappeto da chi preferisce voltarsi dall'altro lato. Da chi, troppo facilmente, archivia la questione assicurando che nella nostra società non esistano più pregiudizi sull'omossessualità e più in generale sull'identità sessuale di ogni persona.

E grazie anche al presidente del Getafe (società proprietaria del cartellino del calciatore dello Sparta Praga), Angel Torres che, sentito da Diretta.it, ha centrato in pieno la questione: "Non c'è nulla da commentare. L'unica cosa che bisogna fare è sostenere il ragazzo".

Ebbene sì, non ci dovrebbe essere davvero nulla da commentare. Eppure, da ieri non si parla d'altro. Fortunatamente. Le reazioni di tutto il mondo del calcio, e non solo quello del calcio, hanno dimostrato che, negli ultimi anni, sono stati fatti enormi passi in avanti.

Soltanto due anni fa, Albin Ekdal che, in quel momento, era compagno di squadra di Jankto alla Sampdoria, ebbe il coraggio di dire quello che altri preferivano tacere: "Nel calcio, solo otto giocatori si sono dichiarati omosessuali. Molti altri vorrebbero farlo, ma non si sentono liberi per paura delle reazioni negative. Questi calciatori si sentono obbligati a nascondersi, a fuggire e vivere nella paura. Bisogna reagire e usare l'istruzione come una forza per un cambiamento positivo. In un mondo ideale nessuno dovrebbe sentirsi a disagio nel dichiararsi omosessuale, che sia nella vita o nel calcio".

Nessuno dovrebbe sentirsi a disagio, giusto. In realtà, sarebbe ancora meglio se nessuno fosse obbligato a fare coming out per liberarsi di un peso. Sarebbe fantastico se il video pubblicato da Jankto sui propri social non fosse notizia. E, invece, abbiamo ancora bisogno di esempi come quello dato dal calciatore ceco che ha preso orgogliosamente in mano il testimone da chi, prima di lui, aveva trovato il coraggio di farlo.

E già, perché Jakub ha scelto la stessa strada che in passato è stata percorsa anche da un mito come Martina Navratilova. Per quanto riguarda il calcio, uno dei primo a farlo è stato Justin Fashanu, negli anni Novanta. Scelta coraggiosa che, nostro malgrado, pagò sulla propria pelle il 3 maggio 1998, quando decise di togliersi la vita.

Per dirla con Megan Rapinoe, che fece coming out nel 2012, nel calcio maschile l'intolleranza regna ancora sovrana: "Gli uomini hanno più remore a raccontare la propria omosessualità perché non si sentono al sicuro. Sanno che verranno discriminati, esclusi e insultati anche dai tifosi".

Una grande verità. Basti pensare allo scherzo di cattivo gusto di Iker Casillas: "Spero che mi possiate rispettare: sono gay". Dopo qualche minuto di incertezza, fu la risposta (altrettanto di cattivo gusto) di Carles Puyol a far capire che si trattava solo di una boutade: "È arrivato il momento di raccontare di noi, Iker".

Il twit di Casillas e la risposta di Puyol
Il twit di Casillas e la risposta di PuyolTwitter

L'ex capitano del Barcellona ebbe l'umiltà di ammettere l'errore e chiedere scusa. L'ex portiere del Real Madrid e della nazionale spagnola, invece, archiviò l'affaire ricorrendo ai soliti "hacker". Comportamento duramente stigmatizzato da Josh Cavallo, il calciatore australiano che, prima di Jankto, aveva avuto il coraggio di sfidare i pregiudizi del mondo del calcio: "Casillas e Puyol scherzando e burlandosi dei coming out nel calcio è deludente. Si tratta di un viaggio difficile che qualsiasi persona LGBTQ+ deve fare".

Un tema ancora difficile da affrontare, se si pensa che il difensore della Norvegia U19, Thomas Berling, decise di ritirarsi a 21 anni nel 2000 citando proprio l'omofobia nel settore. Ebbe il coraggio di fare coming out solo dopo il suo ritiro dal calcio nel 2013, invece, il giocatore statunitense Robbie Rogers, che alla fine dopo l'addio al Leeds ci ripensò e firmò per i LA Galaxy.

Strano se si pensa ai progressi della società civile, e ancora più strano se si pensa che il primo atleta gay dichiarato fu probabilmente il tennista Bill Tilden, campione di Wimbledon nel 1920. Dovranno passare da allora 48 lunghi anni prima che un altro sportivo, Tom Waddell, arrivato sesto nelle gare di decathlon olimpico, avrà il coraggio di dichiarare la sua omosessualità, impegnandosi anche a livello politico per i diritti gay.

Siamo negli anni della rivoluzione culturale del 1968, quando cioè costumi e società vengono stravolti dall'ondata hippie, dall'opposizione dei giovani al moralismo e autoritarismo dei padri. Otto anni più tadi, Waddell e il suo compagno Charles Deaton saranno i primi uomini gay a comparire nella rubrica "Couples" della rivista People. 

Oggi, invece, Marca esce con una copertina e un titolo a nove colonne che ricorda molto più lo strillo scandalistico del gossip, uscendo così fuori da quei canoni di normalità che un atto del genere, per quanto coraggioso, meriterebbe. Se lo definiamo oggi coraggioso, infatti, è proprio perché c'è ancora molta strada da fare.