Osservando solo i 90 minuti disputati ieri, verrebbe da pensare di avere davanti una squadra che non solo è pronta a dominare l'Europa, ma che potrebbe senza problemi fare altrettanto in Serie A. La realtà, però, è ben diversa.
In questa sesta giornata di Champions League, l’Atalanta ha messo in scena una delle sue migliori prestazioni, superando i campioni del mondo in carica, il Chelsea di Enzo Maresca, con una rimonta che ha del leggendario. Non solo per la qualità del gioco, ma per l’atteggiamento, per la capacità di affrontare l'avversario anche quando sembrava che la partita fosse ormai sfuggita di mano. Una performance da squadra totale, quella che segna una delle notti magiche europee che i tifosi orobici ricorderanno per sempre.
Gigante d'Europa
E i tifosi dell’Atalanta, d’altronde, sono abituati a queste imprese memorabili. Che si tratti di un 5-1 rifilato all’Everton a Goodison Park, delle due vittorie ad Anfield contro il Liverpool di Klopp, o del pareggio contro l’Arsenal nell’allora Gewiss Stadium (sostenuto dal rigore parato da Raya a Retegui), la squadra orobica ha costruito una tradizione che in Europa è ormai consolidata. Ma questa, se possibile, è ancora più significativa: perché batte il Chelsea, e lo fa con carattere, qualità e senza paura.
Quella di ieri è stata una conferma di un dato che i più esperti ormai conoscono bene: l’Atalanta ha fatto dell'Europa il suo habitat naturale. Un palcoscenico dove, complice l’entusiasmo di un pubblico sempre carico e un inno che sembra dare ali ai calciatori, la squadra si esprime al meglio, con risultati che spesso vanno oltre le aspettative. Il Chelsea, infatti, non è una squadra da sottovalutare: nel turno precedente di Champions aveva travolto il Barcellona con un netto 3-0. Eppure, nemmeno loro sono riusciti a fermare la Dea.

Ma, ed è qui che entra il paradosso, se l’Atalanta continua a volare in Champions League, con un terzo posto conquistato grazie a 4 vittorie (di cui 3 consecutive), un pareggio e una sola sconfitta, la situazione in Serie A è decisamente più complicata. E non si tratta solo di numeri, ma di prestazioni che lasciano più di qualche perplessità.
I giocatori e il nuovo allenatore Palladino lo sanno bene. Nel post-partita di ieri, hanno lanciato un appello chiaro: “Non possiamo perdere a Verona in quel modo e poi fare una partita del genere in Europa”. Un messaggio che non ha bisogno di troppi giri di parole, dopo una sconfitta pesante per 3-1 contro il Verona, una squadra che si trovava nel limbo della parte bassa della classifica e con un allenatore già sotto pressione. Una prestazione che non ha giustificazioni, se non quella di un atteggiamento che, contro squadre di basso livello, può sembrare troppo molle, troppo poco concentrato.
Enigma d'Italia
E il paradosso non finisce qui. Perché, se è vero che l’Atalanta ha perso punti cruciali proprio contro squadre meno blasonate, è altrettanto vero che la stagione era partita già con un passo incerto.
L’avvio sotto la guida di Jurić era stato deludente: un pareggio opaco contro il Parma, seguito da un altro risultato anonimo contro il Pisa. Poi cinque pareggi consecutivi, intervallati dalla rimonta convincente sul Club Brugge, e infine la cocente sconfitta a Udine. Una vera montagna russa, da cui la squadra aveva cercato di risollevarsi con uno spettacolare 1-0 al Velodrome contro il Marsiglia.
Ma il destino ha riservato un’altra batosta: il 3-0 interno contro il Sassuolo, che ha segnato la fine dell’esperienza di Jurić sulla panchina nerazzurra. Con l’arrivo di Palladino, il ko a Napoli è arrivato quasi come un monito, prima della pronta reazione in Champions con un 3-0 netto all’Eintracht, che sembrava finalmente segnare la svolta. Tuttavia, la sconfitta contro il Verona è riemersa come un fantasma, ricordando ai tifosi atalantini quanto quest’anno la continuità resti un miraggio.

Così si delinea il paradosso: una squadra capace di mettere sotto il Chelsea, ma che inciampa su avversari che, a livello di rosa, sembrano oggettivamente inferiori. Come se, ormai, l’Atalanta avesse trovato il suo posto in Europa, ma faticasse a riportare la stessa mentalità vincente quando si tratta di sfide più quotidiane, quelle che segnano il cammino di un campionato lungo e tortuoso.
Il compito di Palladino
Cosa c’è dietro questo fenomeno? Forse l'Atalanta è talmente diventata una realtà consolidata in Europa che fatica a “fare lo switch mentale” quando si ritrova a giocare contro squadre di Serie A? Forse ha bisogno di una scossa, di quella “bastonata” che la sproni a tornare concentrata? O forse, semplicemente, è una questione di mentalità, di approccio psicologico alle partite, che in Europa non è mai in discussione, mentre in Italia può vacillare?
La realtà è che Palladino ha davanti a sé una sfida enorme: riuscire a far confluire quella magia luminosa che la Dea sprigiona in Champions League dentro una Serie A che, troppo spesso, l’ha vista frenare, inciampare, smarrirsi nei dettagli. Non è un’impresa semplice, ma se esiste una squadra capace di ribaltare gli equilibri, quella è proprio l’Atalanta. I posti alti della classifica - quelli che con Gasperini erano diventati quasi una rassicurante abitudine - restano ancora lì, a portata di mano. Ma per afferrarli serve ritrovare quella continuità mentale che ormai sembra un miraggio lontano.

E il primo passo, inevitabilmente, passa da Bergamo: dalla sfida casalinga con il Cagliari, il banco di prova perfetto per capire se la Dea è pronta a riportare un po’ di Europa anche nei pomeriggi di Serie A.
