BOLOGNA - La Coppa Davis non trova pace. Colpa del suo formato, che finisce ultimamente per scontentare tutti, rendendo necessarie modifiche continue. Addirittura tre cambi negli ultimi cinque anni. E tutto è iniziato quando un calciatore ha deciso di occuparsi di tennis.
Nel 2018 l'ex blaugrana Gerard Piqué tramite la sua agenzia Kosmos stringe un accordo con l'ITF per organizzare la Coppa Davis, e decide di rivoluzionarne il formato. Tra le novità più eclatanti arrivano i gironi, una decisione che deflagra come una bomba nella competizione, alimentando i sospetti di potenziali biscotti, con l'Italia che rischia l'eliminazione nel 2023, o creando anomalie come quella del 2022, col Canada che da ripescato per l'esclusione della Russia vince l'insalatiera. La prima della sua storia.
Nel 2025 è già tutto da rifare: viene eliminato il criticatissimo formato a gironi, ma le cose non sembrano migliorare: Steve Johnson, dopo l'eliminazione degli Usa contro la Repubblica Ceca, nel suo podcast Nothing Major con Isner, Querrey e Sock giudica il formato addirittura il peggiore di sempre con una frase lapidaria: "La Coppa Davis ha perso la sua essenza".
Si arriva così a questi giorni, con Zverev che in conferenza stampa a Bologna per la Final 8 ammette senza mezzi termini di preferire la vecchia edizione: "Continuo a ripetere, e continuerò a farlo, che preferisco il vecchio formato della Davis Cup, che per me è storia. Credo che gran parte del merito fosse giocare partite in casa e in trasferta".
Calendario troppo fitto
Sempre in conferenza stampa, Matteo Berrettini difende il significato profondo della competizione tra nazioni, esaltandone lo spirito che l'aveva sedotto da bambino, ma parla anche della necessità di un cambiamento per attrarre chi lotta per il vertice della classifica Atp come Alcaraz e Sinner. "Non dando punti in palio - dice il tennista azzurro - si potrebbe pensare a un calendario diverso, meno fitto", magari giocando il torneo ogni due anni come nel calcio. Anche se - è costretto ad ammettere - "capisco che ci sono interessi dietro".
Un calendario così intenso che ha dissuaso Jannik Sinner dal partecipare per tentare il tris, e ha sconsigliato Carlos Alcaraz di forzare dopo l'infortunio alla coscia. Entrambi, tra l'altro, avevano già espresso il rammarico di non aver mai potuto disputare la Coppa Davis: "Se l’Australia affronta gli Stati Uniti a Bologna, quest’atmosfera di perde completamente", ha detto l'altoatesino, che poi ha aggiunto: "Non si può pretendere i migliori giocatori da ogni Paese ogni anno: giocare in queste condizioni è davvero difficile. Una Coppa Davis in versione biennale, diluendo gli appuntamenti in agenda, risolverebbe molti problemi".
Problemi risolti, almeno per lui, decidendo di non partecipare, con Alcaraz che lo seguirà nella scelta dopo un consulto medico per l'infortunio alla coscia durante le Atp Finals.
La passione non conosce formati
L'assenza dei numeri uno del tennis attuale pesa indubbiamente come un macigno sulla competizione per i valori e il prestigio, ma non ha raffreddato l'entusiasmo dei tanti tifosi che in questi giorni hanno invaso Bologna. Tra parrucche variopinte, bandiere, cappellini da cowboy sono arrivati fin qui da tutte le parti d'Italia e d'Europa.
Come la ragazza romana, che è il terzo anno che si reca a Bologna per sostenere gli azzurri e, visto che finora è andata sempre bene, è convinta che porterà fortuna anche questa volta. O la signora spagnola, che segue la sua nazionale addirittura da quarant'anni e lo fa ovunque essa giochi.

Non mancano i bambini, anzi sono numerosissimi in questa edizione. Bambini come quelli delle famiglie arrivate da Praga, arrivati avvolti da bandiere per tifare Lehecka e Mensik, convinti che la loro nazionale abbia le carte in regola per vincere questa edizione.

Entusiasmo. Tanto entusiasmo.
In attesa di trovare un formato che soddisfi un po' tutti quanti e attragga ancora i campionissimi a partecipare, bisognerà ripartire da qui: da questa gente e dall'amore viscerale per questo storico torneo tennistico. Ancora forte, fortissimo, nonostante un prestigio calante. Alla fine, dopotutto, che piaccia a loro è ciò che più conta.
