ESCLUSIVA - L'ex numero 1 di doppio Mark Woodforde: "L'Italia ha la possibilità di vincere"

Mark Woodforde
Mark WoodfordeProfimedia

L'ex tennista australiano ai microfoni di Diretta parla delle concrete possibilità di titolo per la squadra azzurra e del format: "Credo fortemente in questo formato e lo sostengo".

A Bologna, ad assistere alle fasi finali della Coppa Davis 2025, c'è anche l'australiano Mark Woodforde. L'ex tennista, adesso sessantenne, lavora per l'ITF.

Alla fine degli anni Novanta Woodforde è stato soprattutto un grande doppista (1 del ranking, mentre in singolare 'solo' 19), in coppia con il quasi omonimo Todd Woodbridge: i due erano noti come "The Woodies".

Nel ricco palmares dell'ex giocatore nativo di Adelaide ci sono ben 12 titoli Slam, tra cui 6 a Wimbledon, due medaglie olimpiche e un titolo di Davis conquistato nel 1999 contro la Francia a Parigi.

Le parole di Woodbridge
Diretta

Cosa ne pensi finora di queste Final Eight?

Beh, sono le Final Eight. Siamo qui alle Finals di Coppa Davis, con otto nazioni straordinarie. La cosa entusiasmante è che l’Italia ha la possibilità di vincere tre titoli consecutivi di Coppa Davis, che guardando alla storia sarebbe un risultato incredibile. Già vincerne due di fila è difficile, ma qui hanno la chance di arrivare a tre, anche senza il numero uno al mondo e il secondo miglior giocatore. Questo dimostra quanto sia forte il tennis italiano in questo momento.

Hai molta esperienza: hai giocato Slam e anche la Coppa Davis. In un torneo come questo, cosa conta di più? La forma fisica, l’aspetto mentale… cosa è davvero importante?

Per me, crescendo in Australia, la Coppa Davis valeva quanto vincere uno Slam. Abbiamo attraversato un’era d’oro, un po’ come quella che sta vivendo l’Italia adesso. Era un’opportunità unica: desideravo fortemente giocare per l’Australia. Quando ero giocatore, se vincevo un game o un match, era bello sentire “game, set, match Woodforde” o “game, set, match the Woodies”. Ma sentire “game, set, match Australia” era qualcosa di speciale. È una questione di orgoglio: ti senti gonfiare il petto e entrano in gioco molte emozioni, tanta tensione. Giocare per il tuo Paese ti mette davvero alla prova, indipendentemente da dove vieni. Durante l’anno giochiamo quasi sempre come individui, mentre la Coppa Davis offre la possibilità di vivere un’atmosfera di squadra, condividere i successi e, a volte, anche le delusioni. Sono momenti molto speciali nella carriera di un giocatore.

Ultima domanda: riguardo al formato di questa competizione. Molti giocatori dicono che preferirebbero tornare al passato, giocare in trasferta contro un’altra nazione — lo hanno detto Zverev, Sinner, Alcaraz. Cosa pensi di questo formato attuale?

Io credo fortemente in questo formato e lo sostengo. Come commissione dell’ITF abbiamo consultato i giocatori e molte nazioni: l’ITF rappresenta più di 200 Paesi, e tutti hanno avuto voce in capitolo. Questa era la direzione verso cui si voleva andare. Come in ogni competizione, quando ci sono dei cambiamenti serve del tempo perché vengano assimilati, ed è ciò che stiamo cercando di ottenere con la Coppa Davis. Ovviamente ci sono tantissimi tornei durante la stagione, che è molto lunga. A volte penso che certi commenti vengano presi fuori contesto: il problema è la lunghezza della stagione e il fatto che le Finals si giochino nell’ultima settimana dell’anno. Credo che le osservazioni dipendano più da questo che dal formato in sé. In ogni caso continueremo sempre a confrontarci sia con i giocatori sia con le nazioni.