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Roberto Baggio, il campione più amato: dalla gloria di Firenze alla frustrazione nerazzurra

Roberto Baggio con la maglia dell'Inter
Roberto Baggio con la maglia dell'InterČTK / imago sportfotodienst / Pius Koller - Flashscore by Canva
Idolo della Fiorentina e della Nazionale, il Divin Codino ha vestito la maglia delle tre regine del calcio italiano riuscendo a farsi volere bene da tutti. Beh, quasi tutti: i suoi dissapori con Marcello Lippi, infatti, lo portarono, prima, ad abbandonare la Juventus e, poi, l'Inter.

Esistono discussioni più sterili di quelle che vogliono, per forza, individuare il miglior calciatore della storia? No, probabilmente, non ne esistono di così inutili. Anche perché, ogni volta che si inizia, ognuno tende a far prevalere le proprie emozioni personali sulla fredda analisi tecnico-tattica. Com'è normale che sia, del resto.

E già, perché serve davvero a poco perdere tempo in valutazioni che nulla hanno a che vedere con la realtà di un gioco che, negli anni, ha subito trasformazioni talmente profonde - sia nelle regole che nella sua interpretazione - da rendere ridicola una comparazione, solo per fare un esempio, tra il calcio degli anni Sessanta e quello di oggi.

Fiorentina-Inter, il big match della 14esima giornata di Serie A
Fiorentina-Inter, il big match della 14esima giornata di Serie AFlashscore

Le emozioni, invece, che un campione è in grado di generare sono rimaste praticamente le stesse di sempre: passione (quella dei propri tifosi), pelle d'oca (quella generata anche nello spettatore neutrale), ammirazione (sia tra gli addetti ai lavori che tra i profani), imitazione (per i più piccoli, quello che si avvicinano al gioco più bello del mondo) e odio (sportivo, s'intende).

Fuoriclasse trasversale

Ebbene, non sono in molti i fenomeni del pallone a essere riusciti a non essere odiati dai tifosi rivali: né Maradona né Messi (chiedete a inglesi e madridisti) ce l'hanno fatta. A livello internazionale, la mente vola subito a Pelé. In Italia, invece, l'unico vero fuoriclasse trasversale è stato e rimane ancora oggi Roberto Baggio.

Dalla Lanerossi Vicenza al Brescia per oltre 20 anni di magia: in mezzo le tre regine del calcio italiano (Juventus, Milan e Inter) e, oltre alla fantastica stagione vissuta a Bologna, naturalemente la Fiorentina avversaria dell'Inter nel big match della quattordicesima giornata di Serie A. Sfida che mette di fronte due delle quattro inseguitrici più immediate del Napoli capolista. 

La vetta della classifica di Serie A
La vetta della classifica di Serie AFlashscore

Icona viola

Fu proprio durante la sua avventura in viola che il calciatore più amato della storia del calcio italiano si fece conoscere in tutto il mondo, rompendo gli argini della notorietà nelle notti magiche di Italia '90 al fianco di Totò Schillaci.

Prova ne sia che, sebbene i titoli più importanti (sia a livello individuale che collettivo) li abbia vinti a Torino, il suo legame con la Fiorentina è secondo solo a quello che è risucito ad avere con l'Italia. Un vero e proprio fenomeno anomalo: negli anni in cui i club prendevano definitivamente il sopravvento sulle nazionali, Baggio è diventato un'icona grazie anche e soprattutto alle sue prestazioni Nazionale. 

"Questo era più bravo di te": con queste parole Pep Guardiola fece capire a Andrés Iniesta che gli stava presentando uno dei crack più importanti della storia del calcio recente. Uno con cui aveva avuto la fortuna, per sua stessa ammissione, di condividere lo spogliatoio a Brescia, dove il beniamino di almeno quattro generazioni di tifosi italiani era arrivato dopo il turbolento addio all'Inter.

Un solo nemico

Trovare qualcuno che possa parlar male di lui è praticamente impossibile. Anche chi non l'ha capito prima è stato costretto a tornare sui propri passi poi, come ha fatto Carlo Ancelotti. 

"Quando ho iniziato avevo un sistema che ho imparato al Milan da Arrigo Sacchi. Era il 4-4-2. E per questo ho rifiutato Roberto Baggio al Parma perché voleva giocare da numero 10. Ho detto: No, non gioco con il 10. All'epoca era uno dei migliori del mondo e l'ho rifiutato perché volevo giocare con due attaccanti. È stato un errore".

L'unico che non ammetterà mai di aver sbagliato, per troppo orgoglio, è Marcello Lippi, il solo vero nemico che ha avuto il Divin Codino durante la sua lunga e incredibile carriera. L'idea di riunirli all'Inter dopo le incomprensioni avute tra i due alla Juventus fu di Massimo Moratti, il presidente buono, uno abituato a risolvere i problemi con un abbraccio.

E, invece, andò male perché l'allenatore che qualche anno dopo avrebbe vinto il Mondiale sulla panchina della Nazionale non riuscì mai a perdonare Baggio, reo di aver detto pubblicamente che ai tempi della Juve gli aveva chiesto di essere la sua spia nello spogliatoio.

Frustrazione nerazzurra

E così, dopo aver dato il suo "sì" a Moratti, accettando il suo ingaggio, fece di tutto per osteggiarlo, lasciandolo in panchina anche quando era evidente che fosse lui l'attaccante più in forma della sua squadra. E così il sogno di far parte di uno dei tridenti più forti della storia del calcio assieme a Ronaldo il Fenomeno e Christian Vieri si trasformò nella frustrazione più grande della sua carriera.

Prova ne sia che, nella primavera del 2000, dopo aver regalato ai nerazzurri la qualificazione alla Champions League, segnando una doppietta nello spareggio contro il Parma, Roby si presento in zona mista con un cappellino con un messaggio che più chiaro non si può: "Mátame si no te sirvo", uccidimi se non ti servo.

Il tecnico livornese non lo uccise, ma continuò a ignorarlo: "Sono stato umiliato troppe volte da Lippi, se resta lui io me ne vado". E fu così che Baggio decise di lasciare, con grande rammarico, quella che è sempre stata la sua squadra del cuore prendendosi, però, una gran bella rivincita a Brescia. Ma questa è un'altra storia.