Dal trionfo all'addio in 72 ore: dopo aver sfiorato il successo europeo nella finale di Monaco di Baviera sabato, Simone Inzaghi ha salutato l'Inter martedì dopo un incontro interlocutorio già programmato da tempo in cui il tecnico piacentino sapeva già che avrebbe deciso il suo futuro, a prescindere dall'esito della gara spartiacque contro il PSG.
Il pesante tonfo per 5-0 ha accelerato la scelta del tecnico nerazzurro, che già da settimane aveva provato a respingere, più che altro dalla sua testa, le avances saudite e nello specifico un'offerta quasi cinque volte superiore al suo attuale ingaggio.
Se per i tifosi interisti non si è trattato dell'epilogo sperato, lo stesso può dirsi anche per l'allenatore emiliano che nonostante un contratto in scadenza nel 2026 e molte voci su un prolungamento che sembrava inevitabile ha deciso di interrompere, bruscamente, l'avventura con il Biscione dopo un'annata molto promettente ma chiusa con zero successi su quattro competizioni disputate (campionato, Champions League, Coppa Italia e Supercoppa Italiana).
Un downgrade nella sua crescita all'orizzonte
Allontanarsi dall'Europa per ragioni puramente economiche, si sa, è una scelta che ha delle conseguenze ben precise: Simone Inzaghi, che al culmine del suo quarto anno in nerazzurro aveva raggiunto uno status di allenatore top a livello non solo italiano ma anche europeo, sicuramente rischia di uscire dal "circoletto" dei grandi tecnici europei trovandosi in un dimensione totalmente diversa, un calcio che attrae ma che ancora oggi non riesce ad appagare i big trattenendoli a lungo.
È chiaro che le condizioni proposte dal suo prossimo club, l'Al Hilal, sono quasi irrinunciabili e che possa essere considerata legittima la sua volontà di "respirare" un po' dopo l'ultima stressante stagione alla guida dell'Inter, ma è innegabile che il campionato saudita e la Champions asiatica rappresentino un grosso passo indietro nella carriera dell'ormai ex condottiero nerazzurro, che anno dopo anno si è costruito una credibilità di ferro.
La scelta di abbandonare l'Italia e l'Europa dunque segna inevitabilmente una rinuncia alle ambizioni personali del tecnico, che con la vittoria del primo successo europeo sarebbe stato consacrato come uno dei migliori manager del momento scrivendo il suo nome al fianco dei vari Ancelotti, Guardiola, Tuchel, Klopp e Luis Enrique.
Addio inevitabile o scelta frettolosa?
Dall'altro canto, sono comprensibili i motivi che hanno portato Simone Inzaghi ad aver "gettato la spugna" così presto e così improvvisamente: la seconda finale di Champions League persa in tre anni e l'incapacità di aver portato a termine neanche uno degli obiettivi stagionali (forse peccando di lucidità nel momento di dover concentrarsi quantomeno su uno solo traguardo) è stata probabilmente la pietra tombale del suo ciclo in nerazzurro, riconosciuta l'incapacità di resettare e ripartire dopo il bruciante finale e forse ammettendo, a se stesso prima che al mondo interista, di non riuscire a fare meglio di così.
Ciò che può essere rimproverato a Simone Inzaghi forse sono i tempi della sua uscita di scena: con le scorie del ko ancora da digerire, con un Mondiale per Club in programma tra pochi giorni (ma che disputerà lo stesso con i sauditi) e con pochissimo tempo per ragionare a fondo, il piccolo dei fratelli Inzaghi ha preso una decisione che sorprende per la sua rapidità, anche se in linea con la frenesia del calcio di oggi e la necessità di accettare subito un'alternativa pronta.
Vista l'età (cinquanta anni ancora da compiere) non è detto che non possa rientrare a certi livelli in Europa, con motivazioni nuove e ambizioni rinnovate. E una prima esperienza all'estero che potrà sicuramente aiutare il tecnico nel suo processo di formazione non ancora del tutto completato.