Quando il 6 giugno la Roma ha ufficializzato l’arrivo di Gian Piero Gasperini, la scelta è apparsa come una dichiarazione di metodo prima ancora che d'intenti. Non un nome altisonante alla José Mourinho per scaldare la piazza, ma un allenatore di idee, fatica e costruzione.
L’etichetta di "uomo giusto" sembrava quasi un auspicio prudente, perché la città sapeva che il suo calcio richiede tempo. E, invece, il tempo lo ha battuto lui.

In poco più di tre mesi, il tecnico piemontese ha dato una nuova fisionomia alla squadra: senza strappi ma con fermezza. Ha raccolto un gruppo che sotto Ranieri, nel finale della scorsa stagione, aveva già ritrovato equilibrio e dignità competitiva, trasformandolo in qualcosa di più ambizioso: una squadra con un’identità precisa, che sa cosa vuole e come ottenerlo.
Oggi la Roma è tornata in alto. Capolista fino allo scorso turno e ora a un punto dalla vetta, ha già eguagliato in sette giornate i punti che un anno fa arrivarono dopo quindici. La differenza non è solo nei numeri, ma nella sensazione di solidità, di compattezza mentale e fisica che accompagna ogni partita.
Prima la difesa
La prima trasformazione evidente è arrivata dietro, anche perché in attacco le cose ancora non funzionano come dovrebbero (un solo gol segnato dagli attaccanti in campionato). Ed è per questa ragione che, quasi sicuramente, a gennaio si provvederà a completare la rosa dalla cintola in su.
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Nel frattempo, però, Gasperini, ha costruito la sua Roma partendo dal basso, dal senso di ordine e di sacrificio collettivo. I giallorossi hanno subito appena tre reti in sette partite, diventando la miglior difesa della Serie A. Tuttavia, più dei numeri colpisce l’atteggiamento: una squadra che non si sfilaccia, che resta dentro la partita anche nei momenti più complicati.
Dove non arriva la strategia, arrivano i riflessi e, sotto questo aspetto, non può passare in secondo piano la crescita di Mile Svilar, sempre più determinante tra i pali. Il portiere è diventato il simbolo di una Roma che difende con coraggio, non solo con i reparti, ma mettendoci la faccia in prima persona.
Il tecnico operaio
La versione romana del tecnico è meno rigida rispetto a quella vista a Bergamo. Gasperini ha compreso fin da subito che la Roma non poteva essere plasmata di colpo sul suo calcio totale: prima doveva conquistare la fiducia dello spogliatoio, poi alzare il livello delle richieste.
Così, passo dopo passo, ha scelto la via dell’adattamento. Ha accettato compromessi, provato soluzioni estemporanee ma funzionali, cercando di cucire la sua idea sulle caratteristiche dei giocatori. Ne è uscita una squadra più realista, meno brillante forse, ma tremendamente efficace.
È un Gasperini “operaio”, che mette se stesso al servizio del gruppo, parla con sincerità ai giocatori e non promette magie: solo lavoro, applicazione e coerenza. E la squadra, di riflesso, gli sta restituendo fiducia e risultati.
Un’impronta chiara
La Roma, come dicevamo, non è ancora spettacolare, ma sicuramente è già riconoscibile. Si muove compatta, aggredisce alto quando può, resta corta quando serve. L’idea di pressing e intensità c’è, ma filtrata da una maggiore prudenza tattica.
Il tecnico ha rinunciato parzialmente a certe ossessioni - come il pressing sistematico a tutto campo o la costruzione dal basso a oltranza - per dare priorità alla solidità e alla gestione dei momenti. E il gruppo lo segue.
I senatori sono tornati al centro del progetto, i giovani hanno spazio e responsabilità e l’ambiente si è ricompattato. A Trigoria si respira di nuovo una sensazione di "tutti dalla stessa parte", compresi i tifosi.
Le differenze con Ranieri
Il confronto con l’ultima Roma di Ranieri spiega più di tante statistiche. Lì dove la squadra aspettava l’avversario per colpire in ripartenza, ora sceglie di andare a prendersi il pallone. Gasperini non vuole attendere l’errore altrui: preferisce forzarlo.
La differenza è tutta nell’atteggiamento senza palla - più aggressivo, più alto, più convinto - ma anche nella mentalità. La Roma non subisce il gioco, lo determina. Ed è un segnale di maturità che non si costruisce in un'estate, ma con metodo quotidiano.

Ed è per questa ragione che, dopo tre mesi di lavoro, quella di Gasperini a Roma non si può definire una rivoluzione, bensì un cantiere ordinato che procede per tappe, ma a ritmo sostenuto. È una squadra che ha ritrovato credibilità, che ha imparato a difendersi e a soffrire, ma anche a colpire con lucidità.
Gasp ha dimostrato che cambiare non significa necessariamente stravolgere, ma capire, adattarsi e migliorare tutti assieme aggiungendo al suo profilo di teorico del bel gioco anche la sua vocazione di maestro pratico. La sua Roma - concreta, disciplinata, essenziale - ne è la prova evidente, sebbene la sensazione è che non sia questa la versione definitiva.
Verso la Roma di Gasp
Da risolvere ci sono infatti ancora i problemi in attacco, con Evan Ferguson ancora a secco e Artem Dovbyk spesso troppo impreciso sotto porta, autore di un gol in Serie A e uno in Europa League. Leon Bailey, arrivato dall'Aston Villa in estate e subito infortunatosi, ora che è tornato a pieno regime potrebbe dare una grossa mano in avanti, velocizzando la fase offensiva, specie nelle ripartenze, e creando superiorità numerica.
Chi si aspettava però un periodo di difficoltà iniziali per Gasperini nel tentativo di inculcare i suoi schemi si sbagliava, l'ex tecnico dell'Atalanta si è adattato dando prima di tutto solidità alla squadra, in attesa di oliare i meccanismi offensivi per far vedere anche a Roma quel gioco arrembante che ha fatto stropicciare gli occhi a Bergamo.