Il derby lombardo tra Inter e Como arriva in un momento in cui il campo incrocia inevitabilmente ciò che sarebbe potuto accadere fuori.
A irrompere sul terreno di gioco di San Siro sarà la figura di Cesc Fàbregas, il tecnico catalano che entrerà al Meazza non da allenatore dell’Inter - come molti avevano immaginato e fortemente voluto la scorsa estate - ma da guida dell'oramai non più sorprendente Como, quinto in classifica e presenza stabile tra le protagoniste del campionato.

E già, perché è difficile dimenticare che lo scorso mese di giugno, quando l’addio di Simone Inzaghi aveva aperto il vuoto tecnico sulla panchina nerazzurra, la prima scelta dell’Inter non era stato Cristian Chivu, ma lui, il canterano del Barça che aveva riportato il Como in Serie A, rendendosi protagonista di un brillante debutto nel massimo campionato e grazie a un progetto tecnico-tattico innovativo, un’idea di gioco coraggiosa e una visione moderna del ruolo di allenatore.
L’Inter - e non solo - ci aveva visto lungo, aveva individuato in Fàbregas il profilo perfetto su cui scommettere per aprire una nuova era. I contatti erano reali, profondi e in società c’era la convinzione che fosse l’uomo giusto per ridisegnare identità e ambizioni e che sarebbero riusciti a portarlo a Milano.
Il grande rifiuto
E, invece, no: il Como fu irremovibile. Il club lariano chiuse immediatamente qualsiasi spiraglio, definendo Fàbregas "incedibile", come si fa con i propri campioni. Un messaggio chiaro: il progetto sarebbe continuato con lui, senza tentennamenti.
E così, sulla sponda nerazzurra dei Navigli si decise che a aprire il nuovo capitolo fosse Cristian Chivu, richiamato alla base dopo l’esperienza a Parma, in un contesto complesso, con un’eredità pesante da raccogliere e con una consapevolezza: il tecnico rumeno è, infatti, arrivato sapendo di non essere la prima scelta, ma con una voglia matta di non far rimpiangere Fàbregas.

Tuttavia, da allora, l’Inter ha alternato momenti convincenti a fragilità nei big match, vero tallone d’Achille di questa fase. Le recenti sconfitte nel derby col Milan e in Champions con l’Atletico Madrid, e una generale fatica contro le avversarie dirette hanno, infatti, frenato, in parte, la corsa di Lautaro e compagni.
Oggi i nerazzurri non sono messi male, né in Italia né in Europa: sono terzi in campionato, a un punto dalla coppia di testa formata da Milan e Napoli, e quarti nel maxi girone di Champions League a tre lunghezze dalla vetta, ma sono altresì coscienti che nei grandi appuntamenti c'è ancora qualcosa che non va.
L'etichetta di "seconda scelta"
Ed è per questa ragione che la sfida contro il Como diventa un crocevia che va oltre la classifica. Da una parte, c’è Chivu che vuole scrollarsi di dosso l'etichetta di "seconda scelta", invertendo la tendenza e dimostrando che la sua Inter può imporsi anche nelle partite che contano davvero.
Dall’altra Fàbregas, che torna nel luogo in cui avrebbe potuto spiccare definitivamente il volo: San Siro. Lì, dove l’interesse nerazzurro gli aveva fatto capire di essere considerato uno dei tecnici più interessanti d’Europa e dove potrà confermare - se mai ce ne fosse bisogno - che è molto più di un’intuizione.

Sei mesi dopo, il Como è quinto, a soli quattro punti dalla vetta, e nonostante non sia una candidata allo Scudetto, è una squadra che gioca bene, ha un’identità chiara, ha sorpreso, prima, e convinto, poi. Una vittoria al Meazza proietterebbe ulteriormente il progetto del club lariano e per Fàbregas sarebbe una rivendicazione silenziosa, ma potentissima.
Sabato prossimo, insomma, il match del Meazza si gioca su due livelli. Il primo è quello ovvio della classifica. Il secondo rimarrà, probabilmente, sotto traccia ma riguarda tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
