20 aprile 1986. La Roma e la Juventus sono appaiate in testa alla classifica, a sole due giornate dal termine. I giallorossi, però, affrontano in casa quel giorno un Lecce già retrocesso, mentre i bianconeri devono ospitare un agguerrito Milan. Una situazione che, complice l’inerzia positiva della squadra capitolina, faceva sperare in una conquista in carrozza del terzo Scudetto. Niente di più ingannevole, vista la vittoria dei salentini all’Olimpico in una partita storica nella quale il trequartista argentino Juan Barbas realizzò una doppietta.
Barbas, oggi c’è Roma-Lecce…
È passato tanto tempo, ma è stata una partita talmente storica che è impossibile dimenticarla. Quell’anno avevo segnato solo due gol fino alla penultima giornata, e lì ne feci altrettanti in meno di un quarto d’ora.
Quella Roma sembrava lanciata verso lo Scudetto. Voi, invece, eravate già in Serie B.
Per noi era una partita come un’altra, onestamente. Eravamo già retrocessi e in molte partite non raccogliemmo quanto seminato. Ma lì scendemmo in campo per dare ai tifosi del Lecce una ricompensa nonostante la retrocessione.
Eppure la Roma veniva da un ottimo momento e viveva un trend positivo.
Prima dell’inizio, quando andammo in campo per vedere quali tacchetti usare, vedemmo il presidente Dino Viola e l’allora sindaco (Nicola Signorello ndr) fare il giro dello stadio. Stavano già festeggiando. Posso dire col senno di poi che assistere a tutto ciò in qualche modo ci motivò a dare il massimo. In qualche modo, a guastare la festa annunciata della Roma.
E ci riusciste eccome. Anche se iniziò malissimo.
Al settimo Graziani aveva già segnato. E noi pensammo “ecco, adesso ce ne fanno dieci". Loro avevano Boniek, Giannini, una serie di calciatori strepitosi. E invece poi pareggiò Di Chiara e qualche minuto dopo Pasculli si procurò un rigore. Andai a calciarlo io con tutta la calma del mondo, e segnai.
Cosa sentì in quel momento?
Per me fu relativamente semplice tirare. Non ci giocavamo niente e scendemmo in campo tranquilli e calmi. Ma quando segnai vidi il contrasto tra uno stadio che si fermò solo un secondo per poi continuare a incitare i calciatori. Questi, però, si erano congelati. Avevano iniziato ad avere davvero paura. Anzi, non ci capivano niente.
Poi, nella ripresa arriva un altro gol suo.
Fu di nuovo Pasculli a generare pericolo, mettendo il pallone in mezzo. Io fui rapido a raccoglierlo e a scartare Tancredi, per poi segnare. È stato senza dubbio il gol più determinante della mia carriera. La Roma accorciò le distanze nel finale ma ormai era tardi. Erano totalmente in stato di shock. Non potevano credere che gli avessimo tolto lo Scudetto.
Il tutto sempre all’Olimpico, dove due anni prima avevano perso la finale di Coppa Campioni contro il Liverpool. Il suo nome fu praticamente associato a quello di Grobbelaar…
(Ride). Non era stata una partita da Champions ma capisco il paragone. Il calcio è così, è incredibile.

Ci furono malelingue su una possibile motivazione con premi in danaro da parte della Juventus.
Ce ne hanno dette di tutti i colori, che ci avevano voluto corrompere con soldi, etc… Niente di più falso. Noi eravamo scesi in campo solo per rappresentare il Lecce e il Salento in una stagione sfortunata. Non dico che togliere lo Scudetto alla Roma fu una compensazione, ma in quell’annata in alcune partite che dovevamo vincere fummo sconfitti. Quel giorno invece fu storico. E onestamente sono stato fortunato a farne parte da protagonista.
C’erano tifosi del Lecce all’Olimpico quel giorno?
Se c’erano io non li ho mai sentiti, perché il rumore del tifo locale era troppo forte. Lo stadio era tutto giallorosso, ma della tonalità romanista.
Avete ricevuto minacce dopo quanto accaduto?
No, ma è vero che abbiamo passato oltre un’ora nello spogliatoio prima di uscire dall’Olimpico, ovviamente scortati dalla polizia. Era una situazione surreale, la città era vestita a festa e noi gliel’avevamo rovinata. Anche per noi fu strano aver fatto tutto ciò da retrocessi.
Ancora oggi le ricordano quei due gol, la metà di quelli segnati in quella stagione.
E prima di Roma-Lecce mi chiamano, come avete fatto voi (ride). Ma ti posso assicurare che mentre giocavo ero in trance agonistica e dopo il gol dell’1-3 neanche mi resi conto che stavamo uccidendo il sogno romanista. Giocai per la mia squadra e nient’altro. Il fatto di giocare senza pressione ci fece realizzare la miglior partita possibile.
Oggi cosa fa Barbas?
Collaboro con l’Atletico Racale, squadra di Eccellenza. Volevo tornare in Salento ed eccomi qui. Sono rientrato in Salento dall'Argentina da due anni perché amo questo posto. Avrei voluto entrare a far parte del Lecce, ma non mi hanno mai voluto dare un'opportunità.
Eppure, secondo un sondaggio dei tifosi, lei ed Ernesto Chevanton siete i migliori giocatori di sempre del club salentino.
Sono contento di questo riconoscimento. E per strada c’è gente grande che mi saluta e mi ricorda con affetto, mentre i giovani non sanno chi io sia. Ed è normale che sia così. Lo vedo anche con i ragazzi che alleno.
La sfida di oggi tra Roma e Lecce vede due squadre entrambe a 13 punti. È praticamente uno scontro salvezza.
La Roma però è stata costruita per andare in Europa, mentre il Lecce ha sempre l’obiettivo di salvarsi. Certo, se vediamo adesso la classifica sembra tutto incredibile, come in quel pomeriggio di maggio del 1986.

Come vede il Lecce quest’anno?
Mi piaceva Gotti come allenatore, lo ritengo una persona seria e con dei principi, Ma sappiamo come è il calcio, dove i risultati comandano. Giampaolo non lo conosco, ma dicono sia un buon allenatore che al Milan è stato sfortunato. Contro la Juventus il Lecce ha ottenuto un ottimo pari. Spero, onestamente, che quest’anno possa salvarsi con più tranquillità.
C’è qualche giocatore della squadra di oggi in cui si rivede?
No, anche perché il calcio è cambiato. Ho avuto la fortuna di giocare in Serie A con Maradona, Platini, Zico, Boniek. Oggi è diverso. Quando giocavo io era un campionato d’élite.