Alla ricerca del primo titolo europeo, nonché quello della consacrazione oltre i confini nazionali, Simone Inzaghi ai appresta a guidare l'Inter nella finalissima di Monaco di Baviera: il tecnico piacentino vincendo la Champions League con l'Inter coronerebbe una stagione praticamente perfetta scrivendo la storia nerazzurra come pochissimi altri hanno saputo fare.
D'altronde se il Biscione è in Germania a giocarsi nuovamente la coppa più prestigiosa a distanza di anni i meriti del 49enne sono innegabili: a soli 90 minuti c'è la gloria e possibilità di rientrare in quella ristretta cerchia di allenatori italiani capaci di alzare la 'coppa dalle grandi orecchie': Carlo Ancelotti, il primatista con 4 successi, e prima ancora Nereo Rocco, Arrigo Sacchi, Giovanni Trapattoni, Fabio Capello, Marcello Lippi e Roberto Di Matteo.
L'ex mister della Lazio deve spuntarla nell'ultimo duello personale della stagione, quello quasi agli antipodi contro Luis Enrique: due stili differenti, ma anche due livelli di esperienza in Europa con lo spagnolo che è leggermente favorito ma non è detto che risulti più efficace con il suo calcio armonioso ma sicuramente meno rigido di quello dell'italiano.
Nella storia dell'Inter a prescindere
Sappiamo quanto sia difficile vincere due campionati di Serie A, e per giunta consecutivi. Simone Inzaghi ha mancato il titolo nazionale per un solo punto, arrendendosi al Napoli ma soprattutto ad una primavera densa di impegni, non tutti andati come si sperava.
Nella spirale di un calendario fitto e insidioso l'Inter ha perso la sua leadership ad aprile e non l'ha più recuperata, obbligata a concentrarsi su tre competizioni a differenza di un Napoli scattato, sin dai nastri di partenza, con una sola grande speranza.

Fallito l'approdo alla finale di Coppa Italia e poi subito il sorpasso del Napoli, il piccolo dei fratelli Inzaghi non ha però perso di vista l'obiettivo più prestigioso, raggiungendo la finale dopo una cavalcata quasi impeccabile iniziata a settembre e al termine di un doppio scontro, quello contro il Barcellona, talmente epico da essere destinato a venire ricordato per decenni.
Con tutti i limiti che gli si attribuiscono: l'incapacità, di tanto in tanto, di non saper offrire un piano B quando le cose non vanno come si vuole o per contrastare l'avversario e la rigidità tattica che talvolta lo stesso allenatore non riesce a smorzare.
Un passo avanti nella gestione del gruppo
Non è un sillogismo automatico, ma la progressione in Europa può essere interpretata come l'ennesimo salto di qualità per Simone Inzaghi, che ha saputo fronteggiare difficoltà crescenti: se non altro, la stagione dell'Inter - a parte il mini black out di fine aprile con le tre sconfitte consecutive senza segnare - si è svilippata di livelli di gioco e rendimento molto alti, e ha messo alla prova il tecnico emiliano in qualsiasi che ha dovuto gestire la rosa tra mille impegni, riuscendoci senza fare venire meno le prestazioni.
Quest'anno Inzaghi si è trovato in mano una rosa ritoccata, più profonda soprattutto in difesa e a centrocampo, e pur rimanendo un integralista del sistema di gioco ha dimostrato di essere migliorato nella capacità di rotazione degli uomini in diversi tipi di situazioni e nella scelta di quando e come utilizzarli, una qualità che non accomuna tutti gli allenatori.
Al contempo, ha permesso anche a giocatori "riserve" di esprimersi al meglio e di mettere a disposizione della squadra la loro qualità senza scontentare i "titolari": si pensi all'apporto in termini di minuti e di bonus di Yann Bisseck, Carlos Augusto e Davide Frattesi.
In pochi come lui in Europa
Non a caso oggi Inzaghi è considerato uno dei top nel suo ruolo, a livello europeo: l'essere stato in grado di centrare la seconda finale di Champions League in tre anni, disputando una campagna europea ai limiti della perfezione, ha contribuito a rafforzare il suo status, e di conseguenza la fiducia nei suoi mezzi.

Qualcuno contesterà sicuramente il dato delle sconfitte, esattamente doppio rispetto alla scorsa stagione (8 contro 4), ma è il processo di crescita della squadra va oltre ai numeri ed è innegabile che rispetto al 2023/2024 il livello si sia ulteriormente alzato.
La verità è che ad oggi, al netto del modulo (l'inossidabile 3-5-2 e l'attitudine a giocare in verticale) pochi giovani allenatori possono vantare la continuità a certi livelli condita con un numero così alto di vittorie, oltretutto senza sacrificare una delle due fasi ma offrendo sicurezza nel reparto difensivo e anche produttività davanti, risultati e bel gioco.
Difesa bunker e non solo
Ad eccezione della doppia sfida pazza contro il Barcellona, l'Inter ha condotto una stagione europea da migliore della classe dal punto di vista difensivo: 1 gol subito e 7 clean sheet nelle prime 8 uscite sono stati a lungo considerati un dato quasi impossibile da raggiungere, soprattutto perché l'alchimia (nata già dalla prima uscita pareggiando 0-0 all'Etihad) non si esauriva con la fase difensiva.
Al termine di questa interminabile stagione è stato inevitabile che qualcuno iniziasse a corteggiare Simone Inzaghi: le avances saudite, molto insistenti nelle ultime settimane, non hanno però distratto il tecnico che alla vigilia della finale ha ammesso di essere stato cercato ma ha definito "folle" ogni discorso relativo al futuro con una partita così importante ancora da disputare, probabilmente la più attesa della sua carriera.
Davanti alle telecamere Inzaghi non si è scomposto, come è solito fare abitualmente: attento, chiuso e misurato - forse troppo - ai limiti dell'introverso nel modo di comunicare, ma anche straripante e altruista quando c'è da celebrare pubblicamente la sua squadra, in fin dei conti proprio come la sua squadra, che inevitabilmente lo rispecchia.