L'evoluzione del fenomeno ultrà rischia di mettere davvero in scacco il calcio italiano. In realtà, secondo le recenti indagini di alcune Procure della Repubblica, lo ha già fatto. E non c'è dubbio che, nel caso in cui dovessero essere confermati in toto i timori degli inquirenti, il mondo del pallone nostrano subirebbe un colpo per certi versi più duro rispetto a quello infertogli, nel 2006, da Calciopoli.
E già, perché la sensazione è che non si salvi davvero nessuno e che si sia andati ben oltre i limiti non solo della legalità, ma anche della più elementare regola di una civile convivenza. Dalla sospensione di un derby romano causato dalla voce, poi rivelatasi falsa, della morte di un bambino e dalle imprese di Genny 'la Carogna' si è arrivati alle infiltrazioni mafiose nella curva della Juventus che, con il passare del tempo, non si sono rivelate un unicum. Anzi.
Prova ne sia l'omicidio del rampollo di una 'ndrina calabrese durante la resa dei conti con un altro dei leader degli ultrà dell'Inter, la cui curva, assieme a quella del Milan, è entrata già da qualche mese nel mirino delle forze dell'ordine che sono sempre più convinte - e, a quanto pare, ne hanno anche le prove - che San Siro sia diventata una vera e propria agorà del crimine organizzato, dove i più furbi e violenti tra i tifosi vedono prosperare, tra una partita e l'altra, i propri affari. Senza che i club facciano nulla e, talvolta, rispondendogli anche al telefono...
Per capire quanto sia grande il potere di alcuni tifosi, basti pensare, restando alla cronaca recente, al diverbio avuto da Dusan Vlahovic con una parte della curva juventina. Ebbene, dopo essere stato minacciato di morte e chiamato "zingaro di merda", è stato proprio il centravanti serbo a fare il primo passo scusandosi, in parte, per la sua reazione. Meglio evitare guai peggiori, insomma.
Società succubi
"Secondo me, le società sono succubi e, solo raramente, complici. Ma, del resto, ci vuole una grande fermezza e una profonda integrità per non essere ostaggio", assicura Massimo Calandri, inviato di Repubblica e autore del libro 'Siamo la Fossa dei Grifoni e gridiamo Genoa Alè!' che in pochi giorni è volato in testa alle classifiche dei libri sportivi più letti.

Un punto di vista condiviso anche da Carlo Pernat, il manager più importante del mondo delle moto, che - prima di scoprire i vari Valentino Rossi, Max Biaggi, Loris Capirossi e Marco Simoncelli (attualmente rappresenta gli interessi di Enea Bastianini) - era a capo del coordinamento dei tifosi del Centro giovanile rossoblu, culla della Fossa dei Grifoni.
"Sì, le società sono succubi di questa situazione, perché gli ultrà hanno il potere di metterti contro cinquemila persone che ti contestano, ti fanno casino e ti fanno squalificare il campo".
Fenomeno sociale
Il grande interesse per il fenomeno ultrà si deve al fatto che non è limitato alla sfera sportiva, ma irrompe, molto spesso con violenza, in quella sociale. "Ma questa non è una novità, è sempre stato così", si dirà. Vero, ma le sfumature sono decisamente diverse. Andiamo con ordine.
Quello che è certo è che il suo successo tra il pubblico del libro di Calandri risiede nella constatazione che in realtà "non si tratta solo di un libro sugli ultrà, ma di un libro su quella passione senza limiti, senza prudenza che tutti noi vorremmo avere - ammette Calandri - . La forza dei Grifoni nell'ambito del mondo ultrà era un unica. In quei tempi molto complicati era l'unica curva che andava oltre i confini sociali, economici e politici dei suoi appartenenti".

Anche quelli attuali, però, sebbene per ragioni diverse, sono tempi complicati. Tuttavia, a differenza di allora, la sensazione è che, oggi, per fare il capo ultrà sia più importante essere un uomo d'affari che un tifoso della squadra di cui si indossano i colori: "La più grande differenza risiede, innanzitutto, nella sincerità dei leader e, poi, nella distorsione dei social. I ragazzi di allora erano coraggiosi e incoscienti, mentre oggi le cose le costruiscono, prima, a tavolino e, poi, le raccontano", continua Calandri.
Businessmen in curva
"Le curve, prima, erano molto più ruspanti - incalza Pernat - . Erano dei veri tifosi, non c'erano business, giri di affari. C'erano le società che ti davano un po' di biglietti, ma poca roba e giusto a quelli che portavano gli striscioni e tutto il resto, ma era tutto più normale".
"Oggi, invece, la situazione è diversa e lo si capisce da quello che è successo, per esempio, a Juventus, Inter e Milan con gente accoltellata, mafiosi in curva... Più che tifosi sono veri uomini d'affari. E di soldi, in curva, ne girano tanti".

Per dirla con Giovanni Falcone, anche quello ultrà è un fenomeno umano e, quindi, ha un suo inizio e una sua fine. E i processi sociali in atto potrebbero accelerarla: "La fine di molte grandi curve - e la Fossa dei Grifoni è stata tra le primissime - è proprio legata all'ingresso del business nel mondo del tifo", chiosa Calandri, per il quale, però, c'è ancora una speranza.
"Sono sempre ottimista, ma a patto che non ci si faccia corrompere dal business o dall'ego e la passione per la propria squadra resti al centro di tutto. La folle purezza degli anni Settanta-Ottanta non è, al momento, replicabile. Però, si può fare qualcosa di simile coi mezzi di oggi, ma soltanto se si resta lontano da chi vuole speculare sulla passione".
