Quando il giovanissimo Andrei Kanchelskis partì alla volta dell'Inghilterra non sapeva ancora con che squadra avrebbe firmato il suo nuovo contratto. L'unica cosa che gli aveva detto il suo agente era stata: "Ti vogliono a Manchester". Nemmeno lui ne sapeva di più. Una volta arrivato, venne condotto all'Old Trafford e capì che avrebbe giocato con i Red Devils.
In quel momento - siamo nella primavera del 1991 - il Manchester United di Alex Ferguson non era ancora la squadra leggendaria che sarebbe diventata negli anni successivi, grazie anche ai gol e alle incursioni dell'ala destra sovietica che alla fine della stagione '94-'95 vinse il Sir Matt Busby Player of the Year, superando campioni del calibro di Peter Schmeichel, Paul Ince, Ryan Giggs, Mark Hughes, Roy Keane e, tra gli altri, un certo Eric Cantona, il più istrionico tra i suoi compagni di squadra.
Durante quella brillante campagna, Kanchelskis segnò anche una tripletta nel derby di Manchester e fu portato in trionfo proprio da Cantona.
Ebbene, oggi si celebra il trentesimo anniversario di uno degli episodi più polemici e, allo stesso tempo, iconici del calcio moderno: il colpo di karate sferrato da The King a un tifoso del Crystal Palace: "Ho giocato quella partita, me lo ricordo bene quello che è successo". E l'ex campione, tra gli altri club, della Fiorentina lo ha raccontato in esclusiva a Diretta/Flashscore News. Ma andiamo con ordine.
Cosa fa oggi Andrey Kanchelskis?
"Alleno la Dynamo Bryansk, una squadra di calcio di seconda divisione russa".
E, del resto, ha avuto l'enorme privilegio di imparare da due leggende, un Colonnello e un Sir: Valery Lobanovskyi e Alex Ferguson.
"Ho avuto la fortuna che a entrambi piacesse il 4-4-2 e il gioco sulle ali. Adattarmi allo United è stato naturale. E non si somigliavano solo per le loro idee tattiche, ma avevano anche due personalità molto simili. Giocavano tutti e due per vincere. Vincere, vincere, vincere: solo e sempre vincere. Per quanto riguarda gli allenamenti, invece, erano diversi perché in Urss, come in Italia, facevamo spesso due sessioni giornaliere e non solo durante la preparazione estiva. In Inghilterra solo una".
E fuori dal campo, invece, come si relazionavano con i calciatori?
"Ferguson era un uomo diverso a seconda del momento: c'era un Ferguson prima della partita, un altro durante e un altro ancora dopo. Prima del match, la concentrazione era massima. Durante, era molto, ma molto aggressivo, molto duro, dava tante indicazioni. Dopo, invece, rideva, giocava a carte e a volte beveva vino: gli piace tanto il vino rosso. Lobanovskyi, negli anni che ho passato alla Dinamo Kiev, era più rigido. Anche fuori dal campo, non gli piaceva avere rapporti con i giocatori".
A volerla allo United è stato Ferguson in persona.
"Probabilmente mi aveva visto giocare in nazionale o con lo Shakhtar Donetsk. Ricordo ancora che il mio agente mi disse 'Andre, una squadra inglese è interessata a te'. E io gli ho risposto 'Perfetto, mi fa piacere'. Arrivato a Manchester mi fanno firmare prima per due anni e poi per altri cinque".
Aveva appena compiuto i 22 anni e il mondo non era globalizzato come lo è ora.
"È stato incredibile. Ricordo quel periodo perché lo United è stato il primo club con cui ho giocato all'estero. L'URSS era un grande paese, ma in quel caso mi sono trasferito in un paese diverso al mio. Siamo stati in tanti a farlo in quegli anni: Shalimov, Kolyvanov e Simutenkov andarono in Italia. Erano tanti i grandi calciatori russi a giocare in grandi club e a me era toccato Manchester. Ho avuto una fortuna enorme e per questo non smetterò mai di ringraziare tutti: dal club, che considero il più grande d'Europa, a Sir Alex Ferguson per avermi voluto".
Cosa significava per te essere nello stesso club di un'icona come Eric Cantona?
"Una persona speciale, un ragazzo francese dalla grande personalità. Come giocatore lo definirei 'frizzante'. Gli avversari lo provocavano sempre in campo. Lo insultavano sempre. E naturalmente, com'è successo anche a Zidane con Materazzi, alcune volte reagiva".
Ce lo ricordiamo bene. Sono passati 30 anni esatti dal suo colpo di karate al tifoso del Crystal Palace. Lei quella partita l'ha giocata.
"La ricordo bene, eravamo in trasferta. Eric, come dicevo, era frizzante in campo. E anche quella volta, alcuni giocatori lo provocarono. Tuttavia, dopo l'espulsione si stava dirigendo verso gli spogliatoi, ma alcuni tifosi continuarono a insultare lui e la sua famiglia e, a quel punto, lui sferrò quel calcione da kung-fu a uno di loro. Ricordo tutto come se fosse oggi".
Cos'è successo alla fine della partita?
"Eravamo tutti tristi. Nessuno, però, gli ha detto niente, nessuno lo ha criticato. Nemmeno Alex Ferguson che, in quel momento, si è limitato a dire 'ok, fa già parte del passato. Torniamo a Manchester'. Viaggiammo in autobus e il giorno dopo Ferguson parlò con Cantona, ma solo con lui, in un'altra stanza. Nessuno sa cosa si siano detti".
Che idea di è fatto dopo tanti anni?
"È un momento che fa parte della vita. I giocatori del Crystal Palace lo insultavano e lo riempivano di tackle. I tifosi, poi, in Inghilterra sono più vicini al campo che in Italia: sono a un metro e senza barriere, ti gridano praticamente in faccia insultando te e la tua famiglia... Se a tutto questo aggiungiamo il suo essere 'frizzante', succede quello che è successo".
Perché decise di andar via dallo United? Si è pentito?
"È una lunga storia, una brutta storia. Volevo restare al Manchester United, ma ho avuto un piccolo problema con un giovane dottore che non era d'accordo su un'operazione alla quale avrei dovuto sottopormi. Dovevo restare, ma sono comunque felice perché, dopo un gran bella stagione all'Everton, mi sono trasferito alla Fiorentina e ho vissuto altri grandi momenti anche in Italia".
Gli infortuni, però, l'hanno tormentata anche a Firenze.
"Sì, prima Taribo West contro l'Inter e poi Pagliuca contro l'Italia. Ma ho un gran bel ricordo di quegli anni e dell'Italia. Firenze è una città bellissima, la più bella d'Europa: Michelangelo, gli Uffizi, le tante piazze e le brave persone che ho conosciuto. Mi sono divertito in un calcio diverso con una mentalità diversa mentre vivevo una vita diversa. È stata una tappa molto importante per me perché ora che alleno mi ricordo quello che ho imparato da Lobanowskyi, Ferguson, Ranieri, Malesani... Sì, è vero, sono stato sfortunato ma gli infortuni fanno parte del calcio".
E, poi, in quel momento, la Serie A era probabilmente più importante della Premier League.
"Senza dubbio. In Italia c'erano Ronaldo nell'Inter, Zidane e Del Piero nella Juventus, Baresi, Maldini e Desailly nel Milan. Era assolutamente il campionato numero uno in Europa. La Sampdoria di Mancini, Vialli e Mihajlovic. Lo ripeto, mi ritengo molto, molto fortunato. Quando mi sono trasferito in Italia, mi sono divertito anche se non ho giocato tutte le partite che avrei voluto giocare".
Chi è il calciatore più forte contro cui ha giocato?
"Paolo Maldini, un difensore sinistro assolutamente brillante. Ho giocato un sacco di partite contro di lui. Era un grande, un ottimo difensore".
E tra i suoi compagni squadra?
"Sono davvero tanti... Batistuta, Rui Costa e Toldo in Italia. In Inghilterra, Cantona, Mark Hughes, Roy Keane, Ryan Giggs e anche Bryan Robson, una leggenda".
In Scozia, ai Rangers ha giocato anche con Caniggia, un altro calciatore 'frizzante'.
"Un grande giocatore con una grande personalità. Era incredibile: una bravissima persona, molto intelligente. E nonostante avesse già 35 anni era molto veloce. Ci siamo divertiti molto ai Rangers. La gente scozzese è diversa rispetto a quella inglese. Un po' come succede in Italia tra chi abita al sud o al nord d'Italia".
Una delle sue ultime avventure è stata in Arabia, all'Al Hilal. Oggi la Saudi Pro League è molto di moda, pensa che il calcio in Arabia abbia davvero un futuro?
"Quando giocavo io lì era diverso. Oggi ci sono un sacco di soldi... Gli sceicchi arabi, però, non sono interessati al calcio. I giocatori si trasferiscono in Arabia Saudita non per giocare a calcio, ma solo per i soldi. O, almeno, prima di tutto per i soldi. Di solito i giocatori mettono al primo posto il calcio e al secondo i soldi, mentre chi va lì pensa prima ai soldi e poi al calcio. E non va bene".
