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Flashback, Inter-Milan: la notte di Champions in cui un fumogeno colpì e spezzò le ali di Dida

Nelson Dida colpito da un fumogeno durante Inter-Milan
Nelson Dida colpito da un fumogeno durante Inter-MilanČTK / Profimedia
Il 12 aprile 2005 il derby Inter-Milan si trasformò in un incubo: un fumogeno colpì Dida e portò alla sospensione del match, segnando una frattura nella carriera del portiere rossonero e lasciando un’ombra indelebile sul calcio italiano. Da eroe di Manchester a simbolo della fragilità post-fumogeno, Dida non fu più lo stesso, mentre il “Derby della Vergogna” diventava emblema di un’epoca difficile per gli stadi e la sicurezza.

Inter e Milan, due anime della stessa città, due mondi paralleli divisi dallo stesso cielo. Non si sono mai amate davvero - come solo i grandi rivali sanno odiarsi - e il loro incrocio è sempre stato un incendio annunciato, alimentato da orgoglio, tradizione e tensione. Ma quella notte del 12 aprile 2005, la stracittadina divenne tragedia sportiva, il teatro di San Siro il palcoscenico di uno degli episodi più oscuri del calcio europeo: il "Derby della Vergogna".

Era la notte del ritorno dei quarti di finale di Champions League. Il Milan, forte del 2-0 dell’andata, aveva allungato ancora il passo portandosi sull’1-0, disegnando una supremazia tecnica e mentale che sembrava scolpita nel destino. Ma il fato aveva altri piani. Al minuto 74, il tempo si fermò: un fumogeno lanciato dal settore nerazzurro colpì Dida tra il capo e la spalla. Il portiere rossonero crollò sul prato, tra il fumo e lo sconcerto.

Un’eco di tensione già scritta

La miccia era stata accesa sei giorni prima, nella gara d’andata. L’Inter aveva cominciato con impeto, ma il Milan era stato glaciale: un colpo di testa di Stam, poi un fendente di Shevchenko. Due gol che erano più di un vantaggio: erano un segnale.

Al ritorno, San Siro era un catino incandescente. Oltre 80mila cuori divisi a metà, uno stadio che sembrava respirare al ritmo dell’odio sportivo. L’atmosfera era solenne, quasi liturgica. In palio non solo la semifinale, ma la sovranità morale su Milano.

In campo, l’Inter provò a riscrivere il copione, il Milan rispose con intelligenza e lucidità. Dida volava tra i pali, Shevchenko creava tempesta nella difesa nerazzurra. Poi, l'episodio che spezzò tutto.

Il fumo della vergogna

Un gol annullato a Cambiasso accese la miccia. Pochi istanti dopo, il fumo si fece materia, colpendo con violenza il corpo e la carriera di Nelson Dida. L’immagine del portiere accasciato sul prato fece il giro del mondo, trasformando un derby in un caso diplomatico dello sport.

La partita fu sospesa tra piogge di oggetti, insulti e caos. L’arbitro Markus Merk, dopo lunghi minuti di consultazioni, non poté che decretare la fine: partita interrotta, Milan in semifinale, Inter sconfitta a tavolino 0-3.

La UEFA non fu clemente: quattro turni a porte chiuse (più altri due in caso di nuovi episodi di teppismo) e una multa pesante. Ma la vera condanna fu l’immagine di un calcio italiano ferito, incapace di domare le frange più pericolose del proprio tifo. Quel derby, nato per celebrare il meglio del nostro pallone, finì per denunciarne il lato più buio.

E per Dida, che fino a quella sera era stato simbolo di solidità e grandezza, si aprì un nuovo capitolo: più umano, più fragile, più solo. Da eroe di Manchester a bersaglio involontario, il brasiliano non fu più lo stesso. Il fumo di quella notte non gli bruciò solo la pelle, ma anche la corazza.

Mai più come prima

Parate come preghiere, voli come promesse. Dida era stato certezza, meraviglia, trionfo. L’uomo che tra i pali sembrava parlare con gli dèi del calcio. Poi, all’improvviso, il silenzio. La fragilità. Il tonfo. Il fumogeno partito dalla curva dell’Inter, la sera del 12 aprile 2005, cambiò tutto. Non fu solo il "Derby della Vergogna": fu la notte in cui si sgretolò l’aura di invincibilità dell’estremo difensore rossonero. Il rivale designato di Gigi Buffon smise di essere leggenda per diventare uomo. Vulnerabile, ferito, solo.

Il fumo si dissolse, ma il trauma restò. Dida uscì dal campo come un soldato provato, fu visitato in ospedale e tornò a casa in cerca di quiete. "Una bruciatura alla spalla, un ematoma, ma soprattutto tanto dispiacere", confessò il giorno dopo a Milanello. Le sue parole erano lucide, ma lo sguardo sembrava altrove, come se già sapesse che qualcosa si era spezzato, dentro e fuori. "Quel fumogeno ha fatto più male al calcio italiano che a me", disse. Aveva ragione. Ma non era finita lì.

Dida medicato dopo esser stato colpito dal fumogeno
Dida medicato dopo esser stato colpito dal fumogenoPACO SERINELLI / AFP

Tornò in campo. Ma non era più lui. Aveva ripreso la maglia del Milan, ma aveva smarrito la corazza del supereroe. L’uomo che aveva chiuso la porta alla Juventus nella notte di Manchester del 2003, diventò progressivamente un’ombra di se stesso.

L’11 dicembre del 2005 arrivò un altro derby. Ma fu il derby della disfatta personale: una punizione innocua di Adriano gli sfuggì dalle mani, Martins ringraziò. Poi, sul finale, mancò l’uscita e fu ancora Adriano a punirlo. Da lì in poi, un lungo elenco di errori, dieci almeno, contati con cinismo da chi non dimentica.

Qualcuno parlò di frattura psicologica, altri di problemi fisici alla schiena. Forse fu tutto insieme. La sicurezza si era sgretolata, e ogni pallone diventava un peso. Il 3 ottobre 2007 a Glasgow, contro il Celtic, Dida fu protagonista di un’altra pagina controversa: due gol regalati e una caduta teatrale dopo un buffetto di un tifoso entrato in campo. 

Ma il colpo più amaro arrivò due mesi dopo. Ancora un derby, ancora la beffa. Cambiasso calciò un pallone centrale, Dida lo toccò ma non lo trattenne. Rete. E dagli spalti di San Siro partì il coro impietoso dei tifosi interisti: "Uno di noi, Dida uno di noi". Beffardo, crudele, definitivo.

Così si chiuse il cerchio, o forse si aprì una ferita mai davvero rimarginata. Dida era stato uno dei più grandi. Ma il destino, quella sera d’aprile del 2005, gli tolse qualcosa che neanche i titoli potevano restituire: la fiducia in se stesso.

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