Dalle prime apparizioni con lo Sparta Praga fino all’esplosione ai Mondiali di Italia ’90, Tomáš Skuhravý ha mostrato fin da subito il suo fiuto per il gol.
Arrivato in Italia nel 1990, ha fatto parlare di sé con il Genoa, tra grandi imprese in campionato e in Coppa UEFA, diventando un simbolo per i tifosi rossoblù.
Il suo periodo in Italia, però, non fu dei più semplici, soprattutto per l’ambientamento e il primo impatto con il mondo mediatico: "La cosa peggiore è stata dopo la Coppa del Mondo del 1990, quando sono venuto in Italia, c'erano sempre dei tifosi dietro di me ovunque mi trovassi. Non mi ha mai dato fastidio, faceva parte del gioco, ma sono sempre stato molto protettivo nei confronti della mia privacy. La popolarità mi apparteneva, volevo che i miei figli avessero un'infanzia normale. Ho sempre protetto la mia famiglia perché la pressione dei media è stata piuttosto alta e alcune persone non sono pronte per questo".
Il calcio contemporaneo e la nuova vita in Repubblica Ceca
"È una cosa stupida da dire, ma il calcio di oggi mi sembra uscito dalla Playstation. Vedo un attaccante che si trova davanti una situazione di uno contro uno, si gira e passa la palla all'indietro. Mi mancano più rischi, più immaginazione, più forza naturale. Non biasimo gli allenatori della nazionale ceca che hanno difficoltà a scegliere questi giocatori offensivi. Mi viene da piangere e il mio cuore calcistico sanguina".
Prima dell’inizio della nuova stagione ha accettato un’offerta da Uherské Hradiště ed è entrato a far parte del consiglio di amministrazione dello Slovácko. Ma perché ha fatto questa scelta? L’ex attaccante lo racconta a Livesport News: "Mi interessava perché si trattava di calcio e alla fine non ho avuto alcuna esitazione e ho accettato senza pensarci. Mi ha attratto perché è fuori Praga ed è un club familiare. Forse a Praga la cultura familiare sta scomparendo, ma lì funziona ancora. Vogliamo far crescere l'intero club, discutiamo di tutti gli eventi del club e voglio dare il meglio di me".
Sul legame con il controverso uomo d'affari Pavel Burán: "Lo rappresento nel consiglio di amministrazione dello Slovácko, possiede il 25% del club. Non mi piacciono queste cose che vengono dette o scritte, perché il più delle volte sono vere solo a metà. Sono felice quando conosco personalmente l'uomo, che è un uomo d'affari e una persona perfetta. Al giorno d'oggi è molto facile criticare qualcuno se si legge qualcosa sui giornali, io non lavoro così".

Sui contatti con il cugino e allenatore Roman: "Non abbiamo avuto molti contatti, il che era dovuto al fatto che ero in Italia. Ma ora ho chiesto di un giocatore che vorrei portare a Slovácko. Mi dispiace, ma ora saremo molto più in contatto. Voglio incontrarlo per un caffè e non vedo l'ora perché penso che in questo momento stia facendo bene il suo lavoro in Slovacchia. Vorrei che non avesse paura di uscire. Non mi occupo molto di allenare, sono più interessato a tutte le cose organizzative che ci sono intorno".